Le funzioni del Notaio

"Tanto più Notaio, tanto meno giudice"

Con queste parole il noto giurista Francesco Carnelutti ha definito la funzione essenziale del notaio e con essa la principale attività a lui affidata dalla legge.Di conseguenza più il notaio fa bene il suo lavoro - e cioè accerta ed interpreta la volontà delle parti che intendono concludere un contratto e ne redige in modo conforme alla legge e con chiarezza le relative clausole - tanto meno ci sarà bisogno di ricorrere al giudice, in quanto minore sarà il rischio che l’atto notarile sia fonte di cause. Per questa ragione il notaio non può ricevere atti espressamente proibiti dalla legge (art. 28 legge notarile), ha l’obbligo di accertarsi dell’identità personale delle parti (art. 49 legge notarile) e di indagare personalmente la volontà di queste (art. 47 legge notarile).
L'inosservanza degli obblighi imposti al Notaio comporta, oltre la responsabilità civile dello stesso, anche la sua responsabilità disciplinare che può giungere, nei casi più gravi, anche alla destituizione, oltre a poter essere fonte di responsabilità penale per l'ipotesi di reato di falso in atto pubblico.


Il Notaio, nel nostro ordinamento, è ad un tempo pubblico ufficiale e libero professionista, qualifica quest'ultima che deriva, da un lato, dalla mancanza in lui della qualità di impiegato dello Stato, dall'altro, dalla presenza, nel modo di essere della sua funzione, di elementi privatistici tipici della libera professione, quali: la mancanza di clientela fissa, la possibilità della concorrenza, il carico delle spese di ufficio, il diritto di trarre corrispettivo direttamente ed esclusivamente dal cliente, ]'assunzione personale di responsabilità civile per colpa o dolo nell'esercizio della funzione, la possibilità di svolgere altre attività, non tutte collegate al ricevimento degli atti tipici.
È stato esattamente osservato, peraltro, che la legislazione iotarile vigente dedica poca attenzione agli aspetti dell'attività notarile non riconducibili alla pubblica funzione, e che, per quanto la carenza sia solo apparente, poiché la disciplina dell'attività libero-professionale del notaio può inquadrarsi in quella generale del contratto d'opera intellettuale, regolata dagli artt. 2229 ss. c.c., una espressa. definizione legislativa sarebbe necessaria, se non altro come sintesi e punto di arrivo degli sforzi dottrinali volli a spiegare la coesistenza nello stesso soggetto delle figure del pubblico ufficiale e del libero professionista.
Problema ampiamente - forse anche troppo - dibattuto è più quello di stabilire i rapporti tra i due aspetti della funzione: la tesi più aderente al diritto positivo sembra quella che ravvisa tra gli stessi un rapporto così stretto da impedire di affermare che l'uno prevalga sull'altro.
Se è vero, infatti, che l'oggetto della funzione notarile - indagine della volontà delle parti allo scopo di fornire alle medesime lo strumento più idoneo, legalmente ed economicamente, per la realizzazione di questa volontà - ben potrebbe sussistere senza la facoltà di attribuire a tale strumento la pubblica fede, è anche vero che, alla luce del dato normativo, il notaio ha il potere-dovere di effetturare tale attribuzione in qualità di pubblico ufficiale, e pertanto qualsiasi disquisizione sulla prevalenza o meno di quest'ultimo carattere rischia di non avere alcuna rilevanza pratica.
Possiamo pertanto concludere, con l'Anselmi, che nel nostro ordinamento il notariato è ad un tempo una professione libera ed un pubblico ufficio.

Caratteri della Funzione

La difficoltà di dare una definizione della funzione notarile che ne riduca ad unità i suoi molteplici aspetti emerge nelle indagini finora compiute dalla dottrina più autorevole, indagini cui sono stati e sono tuttora di ostacolo, principalmente, la complessità e variabilità della funzione stessa ed il confluire in essa di concetti pubblicisitici e privatistici, al punto di indurre il Satta a parlare addirittura di "mistero".
È stato sottolineato, in particolare, come non ci sia definizione proposta che non riveli il disagio di caratterizzare compitamente tale funzione, sia in rapporto al soggetto che ne è investito, sia in relazione al risultato della sua attività.
Sotto il primo profilo, è stata criticata l'inadeguatezza non soltanto della formula data dall'articolo 1 della legge notarile, ma anche di quella approvata dal Primo congresso internazionale del notariato latino (Buenos Aires, 1948, Risoluzione IV), secondo la quale "il Notaio è un tecnico del diritto, incaricato di una funzione pubblica, consistente nel ricevere ed interpretare la volontà delle parti, darvi una forma legale, redigere le scritture idonee a tal fine, conferire autorità alle stesse".
Invero non ha senso, qualificato il Notaio come pubblico ufficiale, dire (articolo 1 legge notarile) che egli attribuisce pubblica fede all'atto ricevuto, perché tale effetto consegue all'attività di qualsiasi altro pubblico ufficiale, e non ha ragione di essere il riferimento a categorie particolari di negozi giuridici, perché il ministero notarile riguarda qualsiasi manifestazione di volontà, come conferma del resto l'elencazione, meramente esemplificativa, della norma in parola.
D'altra parte, definizioni come quelle adottate in sede internazionale non riescono a dare una rappresentazione intellettuale sintetica della funzione, poiché interprete, certificatore, documentatore, operatore del diritto, sono termini che accentuano alternativamente solo uno degli aspetti funzionali del notaio.
Sotto il secondo profilo - esame della funzione in relazione al risultato del suo esercizio — la formula dell'art. 1 della legge notarile con l'elencazione atomistica delle varie facoltà attribuite al notaio, ha dato origine a due orientamenti di segno opposto, nessuno dei quali è riuscito a raccogliere estesi consensi.
Un primo orientamento ha indotto a distinguere tra attribuzioni principali ed attribuzioni accessorie e a prospettare l'opportunità di porre schemi o tipi fissi nei quali sia accertata o quanto meno diversamente graduata l'esplicazione della funzione, se non altro ai fini del contenimento delle responsabilità; si sono formulate così diverse categorie (atti il cui processo formativo è pienamente conforme allo schema previsto dalla legge per l'atto pubblico notarile; processi verbali o "tout court" verbali, di assemblee, di constatazione, di divisione giudiziale, di inventari, di incanti; atti di autenticazione di firme; atti cosiddetti di mera certificazione, quali la cosiddetta vera di firma, il rilascio di copie ed estratti di documenti e libri commerciali, certificati di esistenza in vita). A tale tesi si è obbiettato che la distinzione tra atti notarili cosiddetti veri e propri ed altre categorie di atti pur sempre notarili appare priva di un solido fondamento, perché le circostanze nelle quali il notaio opera sono tante e così varie che non è possibile costringerne l'attività in schemi predeterminati i quali, fungendo da confine alla sua stessa funzione, gli impedirebbero di giovarsi di quanto può concorrere alla migliore esplicazione della sua attività. nell'interesse dei privati, di cui egli deve curare le situazioni rendendole efficienti nella sfera del diritto, così come ha voluto, del resto, il legislatore.
Il secondo orientamento, quello di identificare quale categoria autonoma l'atto notarile, nonostante sforzi insistenti ed autorevoli, non sarebbe giunto, secondo il Baratta, ad altre conclusioni se non a quella che esiste, nell'atto notarile, un "quid" che sembra sfuggire ad una obbiettiva determinazione, ma che andrebbe necessariamente individuato, se non altro per distinguere gli atti di esclusiva competenza del notaio da quelli che possono essere posti in essere da persone diverse da lui.
Questo "quid" potrebbe essere individuato in una particolare attività di assistenza giuridica ai privati nella regolamentazione dei propri interessi; ma ciò porta inevitabilmente a distinguere il cosiddetto potere certificante, che spetta a qualsiasi pubblico ufficiale e che lo Stato, cui compete, può attribuire, negare o limitare a suo giudizio, da quella che è stata definita la prestazione professionale « sostanziale » del notaio.
Questa prestazione sostanziale del notaio è stata ravvisata in un giudizio volto alla sistemazione, nella sfera del diritto, degli interessi dei privati che richiedono la sua opera; di qui l'accostamento della funzione del notaio a quella del giudice, con il quale il notaio avrebbe in comune, oltre all'imprescindibile connotato dell'imparzialità che gli conferisce carattere di naturale arbitratore, il fine di dare adeguata protezione ("cavere") ad interessi di persone che abbiano bisogno di assistenza, e dal quale il primo si differenzierebbe per il carattere « preliminare » o « preventivo" o « antiprocessuale » della sua attività.
In tale ordine di idee si pone l'affermazione del Baratta, secondo il quale il contenuto essenziale della funzione notarile consiste nell'attività di assistenza, di natura giuridica, degli interessi dei privati, avente per fine precipuo la realizzazione di scopi pratici ai quali mira la volontà espressa al notaio e nella quale assume notevole rilievo la redazione formale dell'atto pubblico; ma in questo enunciato affiora, ancora una volta, la netta separazione tra quelle che, in effetti, sono due diverse funzioni: quelle che per la primavolta il D'Orazi Flavoni chiamò, rispettivamente, funzione di certificazione e funzione di adeguamento.
Questa distinzione appare tuttora valida ed appagante, anche nei confronti di quella nuova dimensione funzionale, ravvisata in un compito primario di tutela degli interessi generali della collettività, concretantesi in un intervento diretto sulla volontà delle parti, rivolto ad indirizzarle, al di là e al di sopra dell'equilibrio privatistico, al soddisfacimento di determinate esigenze pubbliche connesse al rapporto da regolare, e che dovrebbe portare ad una sempre maggiore « pubblicizzazione" della funzione notarne; come è agevole rilevare, non si tratta però di una funzione ulteriore, ma di una caratterizzazione della funzione di adeguamento.

La funzione di certificazione

La funzione di certificazione ("officium publicum") consiste nell'attribuzione della pubblica fede: essa viene esercitata in nome e per conto dello Stato, al quale essa appartiene, delegata (in passato come era giusto e naturale) dal Capo dello Stato che lo rappresenta, oggi dal Dirigente del Ministero della Giustizia al notaio, il quale chiude il risultato della sua prestazione professionale con l'apposizione del sigillo che reca, con il suo nome, lo stemma della Repubblica.
Sotto il profilo della funzione certificante, il notaio assume la veste di testimonio privilegiato.
Si verifica qui uno di quei casi nei quali attività di diritto pubblico — riservate allo Stato e ad altri enti pubblici — sono affidate a persone estranee alla pubblica amministrazione, che pertanto vengono autorizzate ad esercitare vere e proprie funzioni di spettanza di quest'ultima ed assumono, nella struttura organizzativa della stessa, una posizione particolare.
Tale posizione si suole definire, come è noto, con il in Italia primo dallo Zanobini; quanto al problema dell'imputazione di tale attività, la prevalente dottrina ritiene che, proprio in riferimento alla funzione notarile di certificazione, questa sia da considerare attribuita al Notaio "in proprio", non essendo possibile individuarne il soggetto in un pubblico potere, e non potendo considerarsi il Notaio "organo" statale, se non in senso indiretto ed improprio.
A ben vedere, all'esatto, espresso e non equivoco esercizio della funzione certificante tendono le numerose formalità che la legge prescrive e che il Notaio deve osservare, sia nel ricevimento di un atto pubblico, sia nella autenticazione di una sottoscrizione.
Sempre a tale funzione mirano altresì le norme che disciplinano la conservazione degli atti, dapprima nell'ufficio del Notaio e sotto la sua responsabilità, quindi nell'Archivio Notarile Distrettuale, e tutta la normativa sulla vigilanza.

La funzione di adeguamento

La funzione Notarile d'adeguamento ("officium privatum") è stata definita dal D'Orazi Flavoni come congrua aderenza dell'intervento empirico manifestato dalle parti ai paradigmi offerti dall'ordinamento positivo; tale operazione è tutt'altro che facile, in quanto analogamente a quale che avviene per il giudice, per l'applicazione del "jus" al "factum" lo strumento del sillogismo può avere valore relativo, dal momento che nel campo giuridico il sillogismo giudiziale non è perfetto, articolato "more geometrico", forte ed inconfutabile come quello matematico, come è stato acutamente osservato.
L'espressione è stata di recente sottoposta a critiche di segno opposto: si è osservato che il termine "adeguamento" sarebbe insufficiente a cogliere l'essenza della funzione notarile, essendo questa, in senso stretto, mediazione fra il fatto ed il diritto, concretantesi in un intervento "inter partes" attraverso la formulazione di un giudizio giuridico "a priori", e che se il Notaio fosse davvero chiamato a svolgere una funzione di adeguamento, occorrerebbe stabilire previamente quali sono i due lati oggettivi che egli è chiamato ad adeguare. A ben considerare, però, a parte la maggiore o minore simpatia per la definizione, queste critiche si appuntanonon tanto sulla sussistenza dell'adeguamento, quanto su un certo modo di essere del medesimo, e per questa ragione l'espressione può essere ancor oggi utilizzata.
La funzione è piuttosto complessa perché comporta una serie di poteri-dveri: indagare la volontà delle parti (art. 47 della legge notarile e 67 r.n.); reperire per esse l'atto più idoneo - anche sotto il profilo economico - per il raggiungimento del fine voluto; rapportare costantemente la volontà delle parti e l'atto loro fornito, alla legge, al buon costume e all'ordine pubblico (art. 28 della legge notarile).
Quando, in questa funzione di adattamento della norma ai bisonisempre nuovi e mutevoli della via, il Notaio trovi carenze ed imperfezioni nella prima, è fatale che la funzione di adeguamento venga ad operare sulla norma stessa, non soltanto mediante una nuova interpretazione se la norma già esiste, ma anche, in mancanza, mediante la creazione di nuovi istituti, concorrendo così alla formazione del diritto: una testimonianza significativa, ma non isolta, di questa funzione, necessariamente sempre "moderna" è la cambiale ipotecaria, che fu creazione della prassi notarile, prima che fosse recepita dal legislatore del 1942.
E’ proprio questa funzione, di per sé distinta da quella di certificazione, è la caratteristica peculiare del Notaio di tipo latino: va tenuto presente, però, che anche nei Paesi nei quali il Notaio ha questa caratteristica, limitando il suo ruolo a quello di mero certificatore (ad esempio i Paesi anglosassoni), la sua opera deve necessariamente essere integrata da quella di altri soggetti, ai quali per legge o per consuetudine spetti di studiare il rapporto e di costruire il contratto (è il caso dell'Inghlìilterra, ove l'oggetto dell'opera del "Public Notary" viene integrato, anzi prefornito dall'attività del "solicitor", sorta di avvocato contrattualista che non esercita avanti ai tribunali): riprova evidente dell'insopprimibilità della funzione stessa e della conseguente sua necessità.
Si vuole affermare che negli ultimi tempi la funzione certificante avrebbe assunto maggior importanza, con il succedersi di norme che hanno via via richiesto sempre più l'opera del Notaio (decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, numero 643, istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili (INVIM); legge regionale Lazio 22 luglio 1974, numero 34, sulle lottizzazioni; legge 28 gennaio 1977, numero 10, sulla edificabilità dei suoli; convenzioni a'sensi del nuovo diritto di famiglia; dichiarazioni circa l'esistenza dell'impresa familiare); se ciò è vero, va anche detto, però, che in pari tempo al Notaio, non tanto quanto certificatore, ma soprattutto in quanto autore dello strumento negoziale sono stati attribuiti compiti di sempre maggior controllo del rispetto di norme di legge, cosicché non può non ravvisarsi attualmente in questo operatore del diritto il titolare di un potere di controllo di legalità, se non di « meritevolezza » delle esplicazioni di quella autonomia privata che va trasformandosi sempre più in « attività amministrata ».
Una recente giustificativa conferma si può ravvisare nell'abrogazione dell'omologazione per gli atti costitutivi e delle delibere assembleari delle società di capitali e nell'affidamento del controllo di legalità — in precedenza già previsto ex art. 281.n. — esclusivamente al notaio.
Tale risultato è del resto la naturale conseguenza dell'attuale atteggiamento della scienza giuridica; in questi ultimi tempi, come è noto, l'attenzione per la teoria del « negozio giuridico », massima in Italia tra le due guerre ed ancora per un lungo tratto dell'ultimo dopoguerra, è andata via via declinando, lasciando il posto a più specifiche ricerche sul contratto; gli scritti sul contratto si sono quindi moltiplicati, è stato osservato, con metodi e finalità diverse, ma quasi tutti caratterizzati dal tentativo di considerare i poteri del privato in una prospettiva che dia il giusto rilievo agli interessi pubblici. e tale orientamento non può non trovare il più immediato e naturale ausiliare proprio nel Notaio, pubblico ufficiale dello Stato.
Si è anzi persino prospettata l'ipotesi che questo controllo di legalità possa estendersi fino alla verifica dell'eventuale contrasto dell'atto — pur conforme alla legge « ordinaria » — con le norme della Costituzione: ma la tesi lascia perplessi, sia per la competenza esclusiva della Corte costituzionale su tale controllo, sia per l'estrema difficoltà della soluzione di molti dubbi di costituzionalità, confermata da decisioni nel tempo diverse sulle stesse questioni (ad esempio in tema di capacità a ricevere per testamento dei figli naturali).
D'altra parte al Notaio non è stata riconosciuta la facoltà di sollevare questioni di legittimità costituzionale: la tesi suggestiva di affermare la rispondenza della funzione del giudice a quella del notaio sotto questo aspetto è stata disattesa dalla Corte costituzionale, che ha ritenuto manifestamente inammissibile la questione di legittimità sollevata da un notaio, in quanto nei suoi confronti non sono applicabili gli artt. 11. cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 1. cost. 11 marzo 1953, n. 87, che riservano alle parti o al P.M. tale facoltà nel corso di un giudizio e sempreché il giudice non la ritenga manifestamente infondata.
È significativo del resto l'atteggiamento della Corte costituzionale e della dottrina riguardo agli artt. 41 e 42, concernenti, espressamente, l'iniziativa economica privata e il diritto di proprietà e, implicitamente, l'autonomia contrattuale, considerata, secondo l'insegnamento prevalente, come strumento dell'una o dell'altra.
In particolare, a proposito dell'articolo 41, che da un lato afferma la libertà dell'iniziativa economica privata (comma 1) e dall'altro le assegna dei limiti derivanti dall'utilità sociale (comma 2), la Corte non solo non ha mai definito quest'ultima, ma non ha neanche individuato un criterio guida da tener presente al fine di non vanificare in virtù (o, come si è detto, « a furia ») dei limiti, la stessa iniziativa privata, ed ha preferito assumere una posizione « mediana » tra un orientamento più favorevole a quest'ultima ed un altro, di maggior favore, nei confronti dell'utilità pubblica. Quanto alla dottrina, la tesi prevalente riconosce l'incapacità della norma costituzionale di prevedere e descrivere i mezzi di controllo sull'utilità sociale, se non rimettendone la disciplina concreta al legislatore ordinario, in base alla riserva di legge contenuta nello stesso articolo 41 comma 3.
Sembra arduo, pertanto, sostenere che il Notaio possa giungere, almeno di regola, "de jure condito", a negare il proprio ministero o a prestarlo in maniera difforme da quello previsto dalla legge vigente, fin quando questa non sia stata dichiarata incostituzionale (cfr. art. 136 Cost.); basta tener presente che l'articolo 28 legge notarile, nel prescrivere che il Notaio non può ricevere atti solo se « espressamente » proibiti dalla legge o « manifestamente" contrari al costume o all'ordine pubblico, appare precludere al Notaio un atteggiamento diverso, stante l'obbligatorietà della prestazione del suo ministero (art. 27 legge notarile); in ogni caso, proprio in virtù di queste norme, mentre sarebbe sempre da dimostrare l'esattezza dell'operato del notaio basato su un'asserita contrarietà delle norme da applicare alla Carta costituzionale, non potrebbe trovare plausibile base sanzionatoria l'atteggiamento contrario.
In definitiva, per quanto ampia possa essere la funzione del notaio sotto il profilo « sociale », essa non può avere confini più vasti di quelli che il legislatore ha previsto e stabilito, ed ogni problema di individuazione dei confini stessi è problema di diritto positivo, il quale, se non l'unico, resta il più importante — e il meno controvertibile — « diritto conosciuto e riconosciuto da noi giuristi » secondo la definizione del Binder.
Il ruolo dei principi costituzionali e i più recenti dati legislativi, così come il mutato quadro economico-sociale e l'attribuzione al Notaio di nuovi compiti, hanno indotto a rivedere la tradizionale ricostruzione delle funzioni notarili, specialmente per quel che concerne la c.d. funzione di adeguamento.
Si afferma infatti che:
• il "giudizio" che il Notaio compie nell'esercizio della sua funzione sarebbe un atto amministrativo di certazione, ancorché non riconducibile all'amministrazione attiva;
• si è accentuato nella funzione l'aspetto garantistico;
• si è proposto di ravvisare in essa un "munus publicum", caratterizzato dall'indipendenza e dall'esercizio libero professionale.
L'entrata in vigore della legge 31 marzo 1995 numero 218, (riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) in un'epoca nella quale il c.d. elemento di estraneità (=diritto straniero) è sempre più presente nella vita giuridica, può complicare di molto, come è stato autorevolmente affermato, l'opera di adeguamento notarile, in quanto la nuova legge ha sostituito a criteri automaticamente applicabili, come quelli contemplati dalle disp. prel. 1942, dei criteri i quali, per la loro applicazione, sono bisognosi di indagini molto delicate, implicanti analisi delle caratteristiche proprie di ciascun caso concreto, specialmente per quanto concerne:
a) i rapporti personali tra coniugi, aventi diverse o più cittadinanze comuni, regolati dalla legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata (art. 29);
b) i rapporti tra adottato e famiglia dell'adottante, regolati dal diritto nazionale dell'adottante o dell'adottato se comuni, o, in mancanza, dal diritto dello Stato nel quale la loro vita matrimoniale è prevalentemente localizzata (art. 39);
c) la successione per causa di morte e le donazioni, che possono essere sottoposte, per dichiarazione espressa del testatore o del donante, alla legge dello Stato nel quale egli risiede (artt. 46 e 56). Ma v'è di più: quando si fa riferimento alla legge, non ci si riferisce soltanto al diritto italiano: c'è da tener presente, infatti, la possibilità che le parti scelgano di sottoporre l'intero contratto od una parte di esso ad una legge diversa da quella italiana: è il caso delle obbligazioni contrattuali regolate dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980; tale possibilità può essere utilizzata soprattutto per regolare istituti riconosciuti dal nostro ordinamento giuridico, ma non da questi regolati (è il caso del "trust").
Infine, non possiamo dimenticare l'importanza e la prevalenza del diritto comunitario, che sta conducendo progressivamente ad una integrazione effettiva, in esso, degli ordinamenti statali.

I limiti della funzione: gli atti vietati

I limiti della funzione sono determinati dall'art. 28 1.n., disposizione di grande importanza, sia sotto il profilo della validità o meno dell'atto notarile, sia sotto il profilo delle responsabilità - civile e disciplinare - del Notaio.
Secondo tale norma, come integrata ex art. 12, co. 1, lettera a) della 1. n. 246/2005 il notaio non può ricevere o "autenticare" atti:
1) se essi sono espressamente proibiti dalla legge, o manifestamente contrari al buon costume o all'ordine pubblica;
2) se v'intervengano come parti la sua moglie (o il marito), i suoi parenti od affini in linea retta, in qualunque grado, ed in linea collaterale fino al terzo grado inclusivamente, ancorché v'intervengano come procuratori, tutori od amministratori;
3) se contengano disposizioni che interessino lui stesso, la moglie sua [o il marito], o alcuni de' suoi parenti od affini nei gradi anzidetti, o persone delle quali egli sia procuratore per l'atto da stipularsi,
salvo che la disposizione si trovi in testamento segreto non scritto dal notaio o da persona in questo numero menzionata, ed a lui consegnato sigillato dal testatore.
La parentela, l'affinità o il coniugio debbono sussistere al momento della stipula dell'atto e, per quanto concerne l'affinità, non cessa per la morte del coniuge da cui deriva (eccettuati casi particolari, estranei al campo notarile), salvo che il matrimonio sia dichiarato nullo.
È dubbio, da risolvere peraltro negativamente, che il divieto si applichi nei confronti del notaio in atti nei quali intervenga: la/il promessa/promesso sposa/sposo; il coniuge tale soltanto in virtù del vincolo religioso; il portatore di cambiale della quale il traente o il girante sia parente, affine o coniuge del notaio; l'altro genitore di figlio naturale riconosciuto dal notaio. Sembra invece da ritenere che il divieto si applichi, contrariamente a quello che in passato è stato sostenuto: alle operazioni di divisione giudiziale delegate dal giudice al notaio, nelle quali uno dei condividenti sia suo parente, affine o coniuge; alla procura conferita a persona astretta al Notaio da detti vincoli per gli atti compiuti dal coadiutore.
A norma del medesimo art. 28, co. 2, le disposizioni ex n. 2 e 3 non si applicano ai casi d'incanto ed asta pubblica; la ragione di tale eccezione sarebbe motivata dalla circostanza che il notaio non conosce prima dell'operazione quali saranno le parti intervenute; ma occorre tener presente che la norma è comunque derogata, per lo meno per il notaio legale rappresentante dei minori o di interdetti, dall'art. 1471, co. 3 c.c.
È opportuno tener presente che la norma non concerne soltanto il ricevimento di atti pubblici "stricto sensu", ma anche come espressamente confermato dalla 1. 28 novembre 2005 n. 246 (art. 12, n. 1, lettera a) l'autenticazione delle firme su scritture private: in entrambi i casi, infatti, il notaio è tenuto (ed è stato sempre tenuto) ad effettuare quella che è stata efficacemente definita « stima preliminare del negozio » , allo scopo di accertare se, nella fattispecie, ricorra o moeno l'ipotesi di un atto notarile vietato.
La ratio delle disposizioni contenute nei numeri 2 e 3 dell'articolo 28 va riferita alla funzione del Notaio, che, in considerazione del suo carattere pubblico, deve essere esplicata non solo nell'ambito della legalità, ma anche in maniera da ispirare la massima fiducia ed allontanare ogni sospetto che negli atti ricorra un suo interesse personale, e da assicurare l'imparzialità della funzione stessa.
Mentre peraltro la disposizione ex numero 2 non presenta profili interpretativi di particolare difficoltà, in quanto contempla l'ipotesi di « parti » in senso formale, altrettanto non può dirsi per quella ex numero 3, che concerne le « parti » in senso sostanziale, come centro cioè degli interessi regolati dal negozio.
Il concetto di interesse va definito alla stregua della "ratio" ispiratrice della norma: secondo l'opinione prevalente, in dottrina e in giurisprudenza, l'interesse può essere diretto o indiretto, economico o morale, ma deve essere tale da investire il notaio come singolo, egoisticamente o privatamente, sì da mettere in pericolo l'imparzialità della funzione.
La nozione di « atto notarile vietato" è stata sottoposta di recente ad esami critici assai penetranti, e sebbene non possano ancora dirsi raggiunte conclusioni appaganti, sembra si possa affermare che la contrarietà alle norme imperative, all'ordine pubblico od al buon costume si debba riferire a quelli che sono gli elementi strutturali del negozio giuridico (causa, motivo, condizione, "modus", prestazione), cosicché resterebbero fuori dell'ambito dell'articolo 28 numero 1:
I. gli atti o contratti in contrasto con norme imperative riguardanti aspetti negoziali diversi da quelli di struttura sopraccennati, e che pure la giurisprudenza, talvolta, ha ritenuto compresi nella previsione dell'articolo 28 numero 1;
II. gli atti nulli per violazione delle prescrizioni di forma della legge notarile, dal momento che l'articolo 138 legge notarile sanziona in maniera distinta gli atti ricevuti in violazione dell'articolo 28 e quelli che risultino in contravvenzione con altre disposizioni specifiche della legge stessa, quali quelle di forma di cui agli articoli 54-57.
È forse giunto il momento di fissare taluni principi:
a) la distinzione tra atto invalido (nullo od annullabile), atto illecito (che può comportare responsabilità ex art. 2043 c.c.) ed atto vietato;
b) le qualifiche di esistenza giuridica e di illiceità dell'atto sono logicamente compatibili e discendono da autonome valutazioni normative;
c) l'atto vietato è sottoposto ad ulteriore valutazione normativa, perché l'"ingiustizia" dell'atto non coincide con i c.d. "vizi dell'atto";
d) non si è responsabili disciplinarmente perché l'atto è invalido, ma perché l'atto è illecito;
e) la responsabilità disciplinare si ha non perché l'atto sia invalido (affetto da nullità, annullabilità, inefficacia) ma perché l'atto è "proibito"; conseguentemente:
- l'invalidità dell'atto potrà comportare responsabilità civile se abbia prodotto un danno ingiusto (art. 2043 c.c.), ma non responsabilità (anche) disciplinare se l'atto non è (anche) vietato;
- - la responsabilità disciplinare si avrà anche se l'atto è pienamente valido (ad es., art. 250 c.c.) ma è comunque vietato.
In conclusione, la proibizione attiene essenzialmente ad un "comportamento" (si rivolge quindi al soggetto), mentre l'invalidità attiene essenzialmente ad un "risultato" dell'attività (cioé all'atto). In altre parole, l'ordinamento giuridico:
- se non vuole che l'atto, privo di certi requisiti, o affetto da certi vizi, entri nel mondo giuridico, ne commina la nullità o l'annullabilità, ovvero l'inefficacia;
- ovvero se non vuole che si compia comunque l'atto, indipendentemente dalla sua validità o meno, ne stabilisce la proibizione.
Soltanto così è possibile spiegare perché vi possono essere:
- atti "proibiti" ma validi (art. 250 c.c.);
- atti non proibiti, ma semplicemente non entrati nel mondo
del diritto, perché privi dei requisiti richiesti dalla legge (ad es. donazione senza testimoni idonei).
Ne consegue che, nel primo caso, la sanzione avrà natura (soltanto) disciplinare, nel secondo, natura soltanto civile (responsabilità professionale ed eventuali sanzioni diverse, ma sempre di natura civilistica.
D'altronde, l'ultimo comma dell'articolo 135 dispone che le sanzioni disciplinari si applicano indipendentemente da quelle comminate da altre leggi ed anche nel caso che l'infrazione non produca la nullità dell'atto o che il fatto non costituisca altro reato; se ne può dedurre che:
a) le sanzioni previste da altre leggi possono trovare applicazione indipendentemente da quelle disciplinari: sanzioni civili (risarcimento del danno, rimborso alle parti di onorari, diritti e spese quando l'atto sia nullo per causa imputabile al notaio ex art. 76 legge notarile), o penali;
b) va escluso che la nullità dell'atto costituisca di per sé condizione di punibilità disciplinare;
c) le sanzioni disciplinari debbono trovare applicazione — se l'atto è "vietato" — anche se l'atto non è invalido, e anche se l'atto non è più annullabile per prescrizione dell'azione di annullamento o, segnatamente, per sanabilità della nullità (ad esempio ex art. 40 legge notarile, 4711985, art. 12, n. 4 e 5 della 1. 28 novembre 2005, n. 246).
d) Secondo una dottrina autorevole, che sembra da condividere "in toto", l'art. 28 non sarebbe applicabile per gli atti "mortis causa", anche se non c'è stato al riguardo adeguato approfondimento giurisprudenziale. Agli argomenti addotti in tal senso (soprattutto, la possibilità di conferirla di disposizioni testamentarie nulle ex art. 590 c,c.), può aggiungersi quello della stessa natura delle disposizioni testamentarie, destinate ad operare soltanto dopo l'apertura della Successione; infatti, come non potrebbe escludersi la liceità di una discussione testamentaria in contrasto con una determinata norma oggi vigente, subordinata alla condizione della sua validità all'epoca dell'apertura della Successione, così non può negarsi, che ogni testamento, in buona sostanza, è dalla legge stessa considerato sottoposto a detta condizione;
e) gli atti non "espressamente" contrari alla legge o "manifestamente" contrari all'ordine pubblico o al buon costume: la sussistenza dei due avverbi, infatti, come risulta dall0origine storica dell'articolo 28, è giustificata dalla circostanza che l'intenzione del legislatore nel formulare la norma fu, da un lato, quella di una chiara ed univoca delimitazione non tanto della responsabilità del notaio, quanto del suo potere di rifiuto della prestazione, essendo talvolta difficile giudicare se una convenzione sia contraria alla legge o al buon costume (59, dall'altro, quella di considerare « proibiti », anche, se non soprattutto, ai fini della sanzione disciplinare, non tutti gli atti viziati, ma solo quelli che, per il loro contenuto, fossero ritenuti in contrasto MI i principi inderogabili dell'ordinamento.
D'altra parte, l'affermazione della equiparazione « atto nullo » = « atto proibito », non può considerarsi appagante: da un lato, infatti, come si è visto, il notaio potrebbe ricevere un atto nullo, ad es. per vizio di forma, ma non proibito espressamente, senza incorrere nel divieto ex art. 28 (salva peraltro la sua responsabilità civile, ove la nullità dipenda dalla violazione di una prescrizione di forma); dall'altro, il notaio non potrebbe ricevere un atto che, ancorché non colpito da nullità, risultasse espressamente vietato ad esempio, compravendita ex art. 1471 n. 3 e 4 c.c.), senza incorrere nella responsabilità disciplinare.
La disamina della norma ex articolo 28 n. 1., giova rilevarlo, è stata sempre condotta non soltanto sotto il profilo della legittimità del rifiuto del notaio ex art. 27 1.n., ma anche e soprattutto in riferimento alla responsabilità disciplinare, dal momento che l'art, 138 legge notarile, prevede la sanzione della sospensione dell'ipotesi della contravvenzione all'articolo 28.
A tal proposito, viene in considerazione un particolare aspetto del problema: quello del collegamento dell'articolo 28, numero 1, con l'articolo 54 regolamento del notariato, secondo il quale "i notai non possono rogare (non v'è alcun cenno ad atti con firme da autenticare) contratti nei quali intervengono persone che non siano assistite od autorizzate in quel modo che è dalla legge espressamente stabilito, affinché esse possano in nome proprio od in quello dei loro rappresentanti giuridicamente obbligarsi".
Ci si chiede se l'atto ricevuto in contravvenzione all'art. 54 legge notarile possa considerarsi atto espressamente proibito ex articolo 28 n.l. ed essere conseguentemente punibile con la sospensione ex articolo 1381.n.
La giurisprudenza risponde, pressoché all'unisono, in senso affermativo, dalla magistratura di merito alla Suprema Corte; contro, si è pronunciata la maggior parte della dottrina.

La tesi critica della dottrina si basa, prevalentemente:

a) sulla mancanza di sanzioni specifiche comminate per la violazione dell'articolo 54 r.n.: trattandosi di responsabilità disciplinare, dovrebbe applicarsi il principio, di derivazione penalistica, "nulla poena sine lege". Tale affermazione presuppone però già risolto, nel senso accennato, il problema della natura della responsabilità disciplinare del notaio, tuttora oggetto di controversie;
b) sui precedenti storici della correlazione tra gli artt. 281.n. e 54 r.n.: mentre l'art. 43 1.n. 25 luglio 1875 numero 2786 (attuale art. 54) conteneva un espresso richiamo all'art. 24 di detta legge (attuale art. 28), nell'attuale art. 54 del regolamento tale richiamo è scomparso;
c) sulla dubbia legalità (rectius: costituzionalità) della comminatoria di una sanzione (la sospensione) derivante da un regolamento che, testualmente, avrebbe potuto disporre (soltanto) sanzioni di natura pecuniaria (ammenda fino a lire cinquanta); si può osservare però che la comminatoria non deriva tanto da una norma del regolamento che preveda la sanzione, quanto dalla formulazione di una contravvenzione sussunta da una norma « in bianco » come quella contenuta nell'art. 28 (« atti espressamente proibiti dalla legge », dove quest'ultimo termine non può essere preclusivo del regolamento come quello in questione, che, oltretutto fu emanato in base ad una norma-delega contenuta nella legge notarile).
Sembra piuttosto plausibile ritenere che, fermo il carattere « proibitivo » della norma contenuta nell'art. 54 r.n. che, tra l'altro, può legittimare il notaio a rifiutare il suo ministero ex art. 27 1.n., occorre approfondire ulteriormente due aspetti del problema.
In primo luogo, la portata della limitazione ex art. 54: si può osservare come una stretta interpretazione della norma porterebbe il notaio a negare il suo ministero in tutti quei casi nei quali (e sono la maggior parte di quelli richiamati nell'art. 54), la « giuridica obbligazione » delle parti non è del tutto esclusa dalla mancanza di un requisito o di un presupposto dell'atto, ma è soltanto « sospesa » fintanto che questo requisito o questo presupposto non verrà in essere; né può aver rilevanza, sotto questo profilo, che si tratti di una "condicio fatti" o di una "condicio juris": quel che importa è che risulti dall'atto questa particolare situazione di perfettibilità; in caso contrario, si dovrebbero bandire dal campo dell'attività notarile - e non si capirebbe perché, dal momento che la legge non li proibisce e non ne commina nemmeno la invalidità -, istituti quali l'utile gestione e il mandato senza rappresentanza.
In secondo luogo, v'è l'impossibilità di sussumere la fattispecie dell'articolo 54 r.n. nell'articolo 28 1.n., non soltanto perchè la "ratio" delle norme è diversa, attinendo la prima alla tutela di interessi privati (derogabili), la seconda alla tutela di interessi pubblici e quindi chiaramente inderogabili, ma anche perché il sistema delle sanzioni disciplinari nella legge notarile è analitico, e pertanto, in mancanza di una precisa comminatoria, non possono applicarsi altre sanzioni, nell'ipotesi di (accertata) violazione dell'art. 54, che quelle genericamente previste dalla legge (censura od avvertimento).
In ordine alla portata dell'art. 28, n. 1 l.n., il quale prevede il controllo di legalità del notaio, fondato sul divieto di ricevere atti tra l'altro - espressamente proibiti dalla legge, la giurisprudenza più recente sembra aver imboccato un nuovo corso interpretativo, in revisione del precedente orientamento, invano osteggiato dalla dottrina più autorevole, secondo il quale detta norma si riferiva sia agli atti nulli che agli atti annullabili, e pertanto anche la violazione dell'articolo 54 legge notarile traduceva sempre nella violazione del citato art. 28 n. 1, con le conseguenze sanzionatorie ad essa collegate (sospensione ex art. 138 1.n.).
Con alcune recenti, innovative pronunce, infatti, la Cassazione ha ritenuto che l'art. 28 concerne soltanto gli atti viziati da nullità e non anche quelli annullabili o inefficaci e che pertanto la violazione dell'art. 54 r.n. è soggetta ad una sanzione autonoma, ma non comporta violazione dell'art. 28 l.n. Non solo, ma la giurisprudenza ha dato segni di maggior prudenza interpretativa, escludendo la responsabilità disciplinare ex articolo 28 l.n. per il notaio il quale abbia rogato atti nulli ma suscettibili di conversione o conferma, quali ad es. quelli disciplinati dagli artt. 17 e 40 della legge 28 febbraio 1985 numero 47 e successive modificazioni in tema di condono edilizio.
Una sorta di sanatoria retroattiva della nullità "ex-lege" è quella sancita dalla abrogazione dell'articoli 3-1 - 13-ter del decreto legge 27 aprile 1990 numero 90, convertito nella legge 26 giugno 1990 numero 165, secondo la quale gli atti pubblici e le scritture private autenticate concernenti trasferimento di fabbricati dovevano contenere od avere allegata, a pena di nullità, la dichiarazione giurata della parte dalla quale risultasse l'avvenuta dichiarazione del reddito fondiario nell'ultima dichiarazione dei redditi: la nonna non soltanto è stata abrogata, ma si è disposta la sanatoria di tutti gli atti privi della detta dichiarazione per i quali la nullità stessa non fosse stata dichiarata con sentenza passata in giudicato (articolo 23, comma 2 legge 29 luglio 2003, numero 229).
Una particolare fattispecie di violazione dell'articolo 28 legge numero è quella prevista come tale dalla legge in tema di ricevimento di atti costitutivi o di verbali assembleari di società di capitali, in seguito all'abolizione del procedimento di omologazione di tali atti da parte del Tribunale (legge 24 novembre 2000, numero 340); secondo tale normativa, il notaio che ricevesse tali atti o ne richiedesse l'iscrizione nel Registro delle Imprese qualora fosse manifesta la mancanza dei requisiti richiesti, violerebbe l'articolo 28 legge notarile.
A prescindere dalla stranezza della norma, essa, con una soluzione non nuova (v. in tema di legge urbanistica l'art. 21 della 1. 28 febbraio 1985 n. 47), sanziona la trasgressione "direttamente" (con una sorta di interpretazione autentica) come violazione dell'art. 28 (precludendo pertanto al giudice di stabilire lui se la violazione rientri o meno nella previsione dell'art. 28, che è una norma chiaramente in bianco) e ciò all'unico fine di rendere inesorabile la sanzione della sospensione, oltre alla sanzione pecuniaria da 516 euro a 15.493 curo (art. 138-bis 1.n. art. 32,1. 40/2000) ove risulti la "manifesta" insussistenza dei requisiti previsti dalla legge; norma anche ingannevole, poiché se la insussistenza dei requisiti ci fosse ma non risultasse manifesta, è certo che il notaio sarebbe indenne dalla responsabilità disciplinare, ma non potrebbe esimersi certamente dalla responsabilità civile.
Sull'applicabilità del divieto ex articolo 28, n. 1 legge notarle anche alle autenticazioni di scrittura privata, prima della modifica arrecata all'articolo 28 dalla legge 246/2005, si era andato progressivamente affermando un notevole divario tra giurisprudenza e dottrina: per la giurisprudenza prevalente, infatti, il divieto non si applicava (inesplicabilmente) alle autenticazioni; nettamente contraria era (giustamente) la dottrina; la recente modificazione dell'articolo 28 ad opera della legge notarile 246/2005 ha risolto ormai il contrasto a favore dell'applicabilità.
È plausibile che il divieto, oltre che alle autenticazioni di firme vere e proprie, debba ritenersi applicabile anche alle autentiche c.d. amministrative, specialmente per quanto concerne quelle apposte a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà di cui al d.p.r. n. 445/2000, dato che nessun atto compiuto con l'intervento del notaio può considerarsi sottratto al controllo di legalità da parte di questo operatore del diritto.
Secondo il Codice Deontologico sembrano debbano essere considerati esclusi dalle categorie degli atti che in ogni caso il notaio non possa ricevere, quelli di cui siano parti società di capitali o enti dei quali egli sia amministratore, anche senza rappresentanza, o rivesta la qualità di sindaco, ovvero sia unico socio o titolare del pacchetto di maggioranza della società: il divieto di assunzione infatti non sarebbe assoluto, ma relativo, in quanto non opera qualora la prestazione notarile venga eseguita "in via occasionale o per necessità altrimenti non superabili" (Articolo 31); tesi che, ovviamente, non può non destare perplessità.